Giovanna Vedovati

È difficile, per una giovane ancora inesperta in questo campo, poter esprimere esaustivamente e con certa umiltà, le sensazioni e le opinioni provocate dalla conoscenza di un grande e importante artista del panorama italiano come Venanti. Per questo è più facile appoggiarsi anche un po’ poeticamente ad immagini, sensazioni e profumi, che quel primo impatto ha indelebilmente impresso nei miei personali ricordi. Entrando per la prima volta nel suo studio si ha la strana sensazione di aver ol- trepassato la vellutata tenda rosso rubino di un teatro e di trovarsi di fronte, sotto le luci della ribalta, il grande spettacolo della vita.
Ogni singolo spazio che l’occhio indagatore può esplorare e “sbirciare” là den- tro è totalmente avulso dal comune impatto che può provocare la pura e semplice sensazione visiva. Lì dentro si è obbligati ad osservare un mondo intero, fatto di ricordi, di oggetti preziosi, di suoni, di infinite immagini, di uomini con divise dei primi del Novecento, di burattini, ospitati in chissà quali teatri ambulanti e in quali epoche, di cappelli moderni ed elmetti di un antico romano, che si appoggia stanco ad un’armatura cinquecentesca brandente orgogliosa una spada. Singoli oggetti ammassati a riempire un vuoto solo materialmente/apparentemente spaziale. Lì dentro ogni epoca storica guarda dritto in faccia all’altra, in un silenzio con- templativo, in cui tutto viene riscritto. Qui la storia è da rimirare e toccare più che studiare e leggere.
L’odore forte e acre dell’antico, della polvere che, con l’eleganza e la discrezione del tempo che scorre, si adagia su quel mondo intero, si mescola, all’odore forte dei colori ad olio, sapientemente mescolati sulla tavolozza; quell’odore è il ritorno alla realtà, un ammonimento che mi distoglie da quel lasso di tempo di attesa nell’anticamera e il segnale che Venanti è pronto a ricevermi. Nella penombra della stanza si staglia una figura singolare; forse è l’ombra che contribuisce a creargli intorno un’aurea austera, forte; in mano gli strumenti del mestiere e di fronte una tela enorme, che crea un forte spaesamento, collocata in uno spazio angusto come quello.
Ecco il pittore, un uomo elegante vestito di tutto punto, con il panama in testa e la giacca dai bottoni d’oro, in piedi di fronte al dipinto. Questa la prima immagine di Venanti, quella di un raffinato esteta e di un grande artista. Sta lavorando ad un quadro, parte di una nuova serie, destinata a questa mostra per i sessant’anni di attività. Inizia la conversazione ma sono distratta; quell’esplosione dei colori, dei contrasti chiaroscurali che iniziano appena ad emergere dal dipinto incompleto, mi catturano sopra ogni forza. Crea distrazione la potenza dell’immagine ancora informe, dove però sono già distinguibili piccoli elementi, primi vagiti dell’opera. Guardare il suo lavoro, diventa una presentazione muta, che non ha bisogno di orpelli; la sua opera e il suo studio sono il suo biglietto da visita. Il senso di Horror vacui, tutto moderno, di quest’uomo, si riversa dalla vita quotidiana, (la sua casa-museo e il suo studio valgono ad esempi massimi) alla tela. Imprigionando i codici intrinseci delle più comuni immagini egli costruisce il suo pensiero, la sua poetica, il suo grido, la sua entropia. Ed ecco che il figurativo più classico diventa opera moderna singolarissima, non ascrivibile a nessun genere, a nessun “ismo”. Egli sapientemente costruisce nella tela il suo pensiero, la sua personale rivoluzione, gli errori e gli orrori della storia, il disfacimento di alcuni valori nel mondo moderno, il sopruso sul debole e la goliardica negatività dei forti.

Il trionfo della grandezza indiscussa di Venanti emerge da più elementi; dalla grandezza della tela, alle nuove tecniche che insaziabilmente sperimenta e che in questo caso aiutano a rafforzare la materia pittorica e il disegno, fino ad arrivare all’uso del colore, acrilici ed oli che sembrano creare un effetto acquerellato. Ancora ritorna qui, quell’effetto visivo atipico, che si avverte anche nel suo studio. Niente è lasciato al caso; guardare da una certa distanza il suo quadro, crea una visione di insieme e dei particolari nitida e potente; ma se ci si avvicina lentamente a ciò che si sta guardando tutto diventa sfocato, sgranato, come di fronte ad una immagine miope. Il potente gioco del colore e dell’effetto ottico sembrano collimare con ciò che l’artista vuole esprimere. Venanti sa farsi capire in mille modi, tutti appartenenti alle mille sfaccettature del fare artistico. Le sue immagini esplodono dal fondo e rappresentano un mondo intero; residui di antichità, come le statue, si mescolano a immagini e codici di un mondo moderno frenetico, che sembra aver lasciato indie- tro qualcosa. L’antichità riprodotta così fedelmente non diviene mai citazionismo, bensì ammonimento poetico, per l’uomo moderno, che sembra aver dimenticato e accatastato il proprio passato storico. Un passato fatto di valori sempre più di- retti verso l’oblio, quei valori tanto cari a Venanti che sono la magna charta della sua intera vita. Il senso del divino che anima la tela che sto osservando, ha meno bisogno di interpretazioni, e viene direttamente citato ripetendo per tre volte il numero tre, simbolo della trinità. Una trinità tutta terrena, quella di Venanti, che si appella al cosmo ed alla natura e a tutto ciò che oggi troppo spesso dimentichiamo.
Il suo pessimismo cosmico, diviene speranza, soprattutto per un giovane che si avvi- cina alla sua opera e al suo universo. I quadri di Venanti sono il testamento figurativo di una modernità che dal Novecento è giunta fino a noi sempre più esasperata e isterilita.
L’artista diventa dunque vate, e poi ancora artista e poi uomo. Parlare con lui e frequentare la sua “bottega”, che ha tutte le reminiscenze di quelle cinquecentesche, diventa una esperienza di vita prima di tutto per il frequentatore.
Per chi vive in un mondo frenetico e banale come quello di oggi, entrare nello studio di Venanti è un importante momento da cogliere per fermarsi a riflettere, per parlare con lui, per conoscere il vero artista Novecentesco, ma anche per conoscere il suo pensiero che è lezione di vita. In un mondo in cui anche l’arte si appella troppo spesso e troppo facilmente al genio facile, che insegue correnti che, estrapolate dal loro contesto storico perdono in parte la potenza originaria, Venanti è un esempio importante per tutti.
Soprattutto per i giovani, noi giovani, egli diventa un prezioso strumento, che va ascoltato e recepito in tutte le sue sfumature, per non perdere il senso della realtà, per trovare la grandezza nella sua semplicità, nella sua grande cultura, nel suo essere schietto, nel suo essere portatore di antiche verità. Dovremmo tutti rendere omaggio a questo grande artista figlio della nostra terra, soprattutto noi giovani, come non mi stancherò mai di dire. Questo spero sia solo il primo di una lunga serie.

 

Estratto da
60 ANNI IN MOSTRA 1
Franco Venanti & 46 maestri dell’arte contemporanea umbro-toscani
A cura di: Eugenio Giannì