Mimmo Coletti

La musica è adatta a incalzare, accompagnandolo, il pensiero ondivago, l’orchestra sa tradurre alla perfezione il gesto del direttore, il suo volere, l’altezza del sentire. La composizione prende forma, si agitano i venti di tempesta, gli zefiri azzurri del calmo immaginare, la marea montante attratta da una luna di piombo, la quiete e la burra- sca, i mille sentieri senza sbarre, le cento mappe del tesoro che conducono, tutte, al porto desiderato, inseguito, intravisto e sognato della libertà. Forse è impresa vana, almeno scheggiata in partenza, racchiudere in parole l’universo mondo di Franco Venanti, trepido vulcano in ebollizione, corrosivo e tenero, aspro e melanconico, mutevole come una fresca giornata di marzo, errabondo per vocazione, irrequieto alla maniera di un pellegrino duecentesco in cerca del santuario nascosto tra i rovi. Capace d’interpretare il silenzio di una immota giornata nell’atelier e la morbida, sdutta figura femminea che si stempera nella luce o il clangore ferrigno di eserciti in lotta, d’impettiti generali, di mascheroni usciti pari pari da un carnevale tragico. Un fiume in piena è Franco, e gli anni davvero li ha messi nel cestino, la fertilità gli è amica fedele di viaggio, l’invenzione multipla, feroce, incalzante, il nuovo, l’eterno nuovo che significa la scoperta degli altri e la scoperta di sé. Non si contano le stagioni, perché sarebbe riduttivo e inutile, né vale la pena, lo sforzo, la voglia di scandire le età della pittura, i modi, i modelli e i moduli, i linguaggi che si sono aggiunti, le parole di colore, forma, architettura, intelletto trasformate in nuvole vagabonde, i gorghi delle idee, il fuoco delle provocazioni, la nitida grandezza di una pittura testimone accorta, insistente e insistita del periodo, dei periodi attraversati.

Franco volta pagina, sempre e con una felicità di esiti da rasentare l’imprevedibile, riduce la realtà in stelle filanti, in frammenti, li sparge nell’aria, li raccoglie al volo, li dispone con il suo intuito sulla tela e nasce il mosaico d’un caleidoscopio

intriso dell’attimo fuggente. Si dirà che la provocazione, il morso della ‘satura’ latinamente intesa, l’aggressione ironica, lo sberleffo irridente, la sferzata violenta, l’ira che cresce sono caratteri che emergono dall’opera sua. E si è nel vero, anche se la mente è il mercurio dei filosofi, non si può fermare, è argento vivo, sgat- taiola, e più si tenta di fermarla e maggiore si fa la velocità che raggiunge. Così la creazione plurima di Franco è la chiave di volta del suo castello: sparsa sensualità e digrignante attenzione a vizi stereotipati, senza mai assurgere a giudice, semmai a stupefatto spettatore.

L’insieme, la matassa, la montagna di invocazioni e di richiami desta stupore e ammirazione: enciclopedia della visione tradotta con esatta armonia, puntuta forza, grida laceranti. Nel grande formato si esalta l’impeto, la corsa, il fragore: un bestia- rio iridescente, nato da scienza e fantasie, il movimento che si irradia, coinvolge i particolari, i volti e i treni ansimanti, i guerrieri catafratti nella corazze lucenti, i paesaggi lontani, mormorii di un tempo che è stato o magari arriverà. Franco corre sull’ippogrifo, va veloce tra le vele del vascello di Tristano, immagina, concretizza, tesse una tela dai tanti orditi, sale sul tappeto volante e arriva alla grotta di Alì Babà proprio quando i quaranta ladroni non ci sono più.

Dirlo pittore vero, autentico, grande è ripetere, sottoscrivere lo scontato. è, magari, qualcosa di diverso e di più: è l’uomo che ha sempre amato una città spazzata dalla tramontana e segnata dal sole, un’acropoli che non conosceva la nebbia e invece l’amicizia saldissima, merce rara perdinci, tra dolori, rimpianti, speranze, sguardi rubati, carezze furtive e ammiccanti sorrisi di quelle femmine che occhieggiano dai quadri, ricche di svenata melanconia e di sottintesa sensualità.

Perugino, sicuro. A tutti gli effetti. Criticamente disposto verso il prossimo e subito pronto a tendere la mano, a spianare il sorriso, a parlare con i suoi quadri di un continente frastagliato, irto, difficile e pure approdo costante, sicuro. Batte forte il cuore nell’avvicinarsi ancora all’opera dell’amico e del magnifico, incendiario stregone della tavolozza e del pennello. Si celebra Franco ed è giustissimo, alla maniera di un piacere finalmente raggiunto. Tra parentesi dice che sta toccando le sessanta primavere estetiche, lui, il giovanotto di sempre, spirito frizzante, triste, allegro, nostalgico. Afferma con vezzosità: sono ottanta d’età. Ma qui si aggiunge che Franco non sempre va a braccetto con la verità, lui, abitante di una piccola e grande Perugia dove un dì tutti si conoscevano, ma pronto a spiccare il salto, annullare il tempo, prendere il ricordo, bloccarlo, stringerlo, serrarlo forte fino a farlo diventare il domani.

 

Estratto da
60 ANNI IN MOSTRA 1
Franco Venanti & 46 maestri dell’arte contemporanea umbro-toscani
A cura di: Eugenio Giannì