Gustavo Cuccini – Franco Venanti. Il pensiero dell’arte e la dignità della scelta

Gli artifici storiografici tesi a definire le strade dell’arte, nei momenti in cui questa più necessita di autodefinirsi ed essere definita, per i suoi continui tentativi di mettersi in parallelo alle variabili dinamiche della società attuale, questi artifici appunto spesso non risolvono, o lasciano per così dire sospeso, il giudizio critico su personalità le cui opere sembrano slittare indenni sopra ogni sorta di schema interpretativo.
Ci sembra questo un po’ il caso di Franco Venanti: non che, però, la sua pittura si arrocchi in ermetiche fortezze per nascondere all’evidenza le ragioni del suo esistere, o che voglia ostentare un salutare distacco dalle estetiche contemporanee.
Forse è il contrario; scopriamone allora le giustificate radici e dimore nel presente.
L’uso dei media tradizionali del dipingere parrebbe collocare l’arte del Maestro umbro all’interno di quel processo di recupero del modulo figurativo che dalla fine degli anni ’60 trova le sue motivazioni in una necessità di andare oltre la pura presentazione di materie e materiali, nell’ottica di una riscattata autono- mia dal sociale e dal politico e di una maggiore articolazione culturale. In tale movimento di riavvicinamento al visibile, gli artisti si esaltano nel rinnovare un rapporto di pacifica comunicazione col mondo, superando la conflittualità ambiziosa e a volte ingenua delle neoavanguardie: un rapporto che, a ben vedere, si ferma però sulla soglia del momento ludico narrativo e dell’accentuazione ironica, più che sulla interpretazione e drammatizzazione del mondo medesimo. L’indulgenza eccessiva sul mezzo espressivo, la forza mediatica del disegno e del colore, frenano la spontaneità corrosiva e l’euforismo della scoperta: con l’alea conseguente di un neoaccademismo sperimentale che per molti operatori costituisce altresì vezzo e lusinga.
L’ipermanierismo si espone al rischio di diventare un modo esclusivo del fare, un hortus conclusus, la celebrazione di un isolamento indenne dalla speculazione uti- litaristica del progresso lineare e felice. Nella figura si concentra la nuova mania di un bello indeterminato, l’illusione della libertà senza condizione, la verità effimera del puro fenomeno che si ostina a trovare certezze sostanziali nella forma.
Il superamento dell’oggetto decontestualizzato nella purezza della non signifi- cazione e il rifiuto dell’epilogo nell’oggetto di un processo concettuale, portano al disimpegno e allo smottamento dell’ideologia: la pittura si fa bella e colta, rivela nella citazione il suo metodo sapienziale, immerso nel circolo vizioso di un ritorno senza partenza, dove la pratica creativa sembra volere riscattare a ogni costo la gratuità di un agire estetico fine a se stesso. La qualità oggettiva della elaborazione formale, misurabile nell’evidenza del suo risultato, prova a compensare la caduta anche dell’idea e il disimpegno.
Un sentimento diffuso di piacere evapora dalla pittura della nuova maniera, che presto si nebulizza sulla superficie asettica di un concettualismo demotivato. Se l’intuizione primaria di una “esperienza della Pittura” ritrovata e “ricerca del centro”, costituisce un punto nodale nella storia dell’arte contemporanea, è pur vero che gli esiti successivi cui porta l’esasperazione della pratica artistica nel senso di moda pittorica e di omologazione stilistica dilagante, deludono attese e speranze. Attese e speranze di chi aveva visto nel recupero della figurazione la fine di un pensiero sterilmente progressivo dell’arte medesima e la risoluzione identitaria dell’artista con la propria immagine.

È qui che la pittura di Franco Venanti reclama, con orgoglioso pudore, il suo distacco dal figurativo contemporaneo e dalle sue declinazioni, per quel plusvalore che le concede ancora, e nonostante le mode, la forte valenza simbolica del segno e che la pone equidistante sia dai valori neoconcettuali della “pittura colta”, sia dall’accademismo autoreferenziale degli “anacronisti”.
Il Maestro precede gli uni e gli altri, spesso confusi e sovrapposti dalla critica, per cronologia, intuizione e cultura, anticipandone il fare ipermanierista ma rin- negando di questo la libertà dal significato e proclamando con fierezza la dignità della scelta.
Una immaginazione instancabilmente prolifica corteggia linee e colori, si riversa sulla tela e costringe la mano a creare figure che di quella immaginazione sono la memoria visibile materializzata nello spessore dello spazio e stratificata nella mate- ria. Un rapporto, costante e cosciente della profondità del tempo, si stabilisce nelle tele di Venanti fra le cose rappresentate e il loro essere altro: un essere altro che non è significazione vaga, velleità allusiva, ammiccamento intellettuale. Il simbolo recupera l’originaria valenza etimologica: unisce, crea ponti, costruisce teoremi sullo splendore di una pittura rigogliosa di luci e di colori, pregna di vita, di amore, di una sensualità primigenia e indenne dalla corrosione di quella sottile ironia che pure innerva il fare del Maestro.
Che ben altra cosa è della condizione anacronista fondata, questa, sul nostalgico recupero del passato per trovare in esso quella pienezza di espressione, quella esuberanza creativa da contrapporre, nel segno di una polemica senza dialettica, allo svuotamento dei linguaggi delle avanguardie e alle fredde estetiche comportamentali della modernità.
La maniera di Venanti si muove autonomamente, su una linea di progressiva continuità che solo per tangenti sfiora stilemi similari; cultura, curiosità, amore inesausto per l’esistenza, entusiasmo, sono i collanti di un nucleo energetico positivo che nella pittura si manifesta e solo in parte si realizza, senza esaurirsi in essa, per continuare a garantire, al di fuori della pratica artistica, una molteplicità di rapporti umanissimi e cordiali.
Ed è anche questo filo tenace, che corre tra la vita e l’arte sopra l’abisso dell’incomunicabilità e dell’indifferenza, uno dei segreti del Maestro. La cui capacità alchemica nel manipolare la materia e adattarla alla forma delle idee sovrasta di gran lunga l’impaziente sperimentalismo dei più: egli vive naturalmente il suo rapporto con la tecnica e la pratica del dipingere, nella ferialità di un tempo che sa piegare alle sue esigenze e al quale pure adatta con pazienza i ritmi organici delle tempere e degli oli, le tensioni delle tele, la duttilità dei pennelli. Non cova in lui l’assillo della novità ad ogni costo, né lo sostiene il conforto del consenso mercenario. La sua arte è un inno alla libertà, libertà dalle lusinghe della critica e del mercato, libertà dall’insensata pressione del potere e dall’arroganza della mistificazione, dal qualunquismo etico ed estetico, dalla costrizione degli eventi. Libertà e continua aspirazione ad essa: non anarchismo confuso e spontaneistico, ma orgogliosa coscienza dell’uomo signore della storia e del suo divenire.
Da qui la fedeltà di Venanti a un imperativo che da sempre è il fondamento costitutivo della sua poetica.
Le creature e le cose che popolano le sue tele tutto sono meno che emblemi impagliati di un mondo iperuranico, ma idoli viventi capaci di proclamare la dignità della loro esistenza oltre ogni presupposto estetico e di pensiero: per questa loro qualità, esse ricostituiscono la forma mitico-simbolica del nostro rapporto con il mondo contro l’alibi ideologico della incomunicabilità, la disgregazione del senso e l’enfatizzata insensatezza della parola.
Immagini del pensiero che si fanno figure per collocarsi in una dialettica della natura dove la percezione del reale e la metafora, distributrice del senso, mai si oppongono al dato intuitivo originario.
Permanendo il principio mimetico e allusivo nella costruzione della figura, pur anche si afferma, in questo mondo dipinto su misura del visibile e del percepibile, l’autonomia strutturale della forma estetica, a ribadire, se ce ne fosse bisogno, il carattere perdurante dell’arte del Maestro, sospesa sempre in una linea di equilibrio e continuità fra la propria autarchica definizione e la datità autentica e primaria del mondo appresa per intuizione e mediazione intellettuale.

 

Estratto da
60 ANNI IN MOSTRA 1
Franco Venanti & 46 maestri dell’arte contemporanea umbro-toscani
A cura di: Eugenio Giannì