Paolo M. Di stefano

Io Franco Venanti pittore l’ho conosciuto per una donna. Era il 959. Lontana e pensosa, accoccolata, immobile, essenziale fin quasi alla idea pura nel suo bianco e nero, mi ha parlato di una ispirazione a suo modo primordiale, semplice e pure profondissima, capace di guidare la mano del pittore quasi per istinto. Era una “donna che si riposa” che lasciava trasparire la stanchezza di un lavoro pesante e doloroso in una con il pensiero tormentato di un domani incerto, la consapevolezza dell’inutilità di una qualsiasi ribellione e la assenza di rassegnazione.
Il riposo prima della nuova fatica? Forse. Più probabilmente, quel pensiero assoluto che riesce a sollevare il peso di una vita, a significarla, a spingerla lungo i sentieri, impervi sempre, della accettazione attiva, consapevole di qualcosa che è al di fuori di ognuno di noi ma che di ognuno fa strumento di programmi imperscru- tabili, solo a tratti intuiti appena e subito tornati alle nebbiose terre di un futuro peraltro anche costruito da noi, sia pure con la nostra sola presenza.
Quella donna! Una miniera di pensieri, e il suo riposo una fucina di idee. Il percorso ideologico di Franco Venanti, peraltro uomo colto e dalle esperienze molteplici e varie, sembra non aver mai abbandonato l’arcipelago della propria interiorità. O, se si preferisce, di un “individualismo sociale” che certamente lo distingue e lo pone in una sfera quasi esclusiva. Il pittore ha piena consapevolezza di due fondamentali situazioni: quella dell’io interiore, che si macera nel cercar risposte ai misteri dell’uomo e dell’universo e che cerca i mezzi più idonei per comunicare innanzitutto a se stesso i risultati del proprio tormento, e che parla con se stesso, prima ancora che con gli altri. E quella dell’io esteriore, conscio della par- tecipazione ad una vita sociale ed associata, della presenza di altri esseri variamente operanti e (forse) pensanti, e dunque anche consapevole di una missione, di un compito, di un dovere, di un piacere di comunicare agli altri i traguardi raggiunti.

E, per chi sa leggere i suoi lavori, per disegnare possibili mete future. Che è un’altra delle caratteristiche di un artista animato da una sconfinata fiducia nel creato e nell’uomo. Una fiducia stranamente praticata attraverso una polemica continua e totale. Io credo che non esista persona al mondo alla quale Franco Venanti abbia dimostrato accordo ed alle idee della quale si sia associato senza discutere. L’accettazione in lui non ha alcuna connotazione di passività. Un mettersi continuamente in gioco attraverso la contestazione più assoluta, apparentemente talvolta anche immotivata, talvolta persino violenta. Mai, però, scortese.
Che è, poi, una chiave della lettura delle sue opere, sopratutto delle più recenti: la prorompente ricchezza dei temi, il groviglio delle figure, il sovrapporsi di volti umani, di cose le più disparate, di animali e di piante a me è sempre sembrato voler dire della incommensurabile complessità della vita opposta a chi propone e pratica soluzioni univoche, spesso semplicistiche, sempre poco approfondite. Il seminare sulla tela una quantità infinita di pensieri e riferimenti significa consentire all’osser- vatore di disporre della cristallizzazione di un mondo interiore comune, sul quale e nel quale tornare per arricchire conoscenze e ricordi e dunque per rivedere il proprio pensiero. E soprattutto vuol dire confidare nel pensiero dell’altro, nell’autocritica dell’interlocutore, nella onestà d’intenti del contraddittore. Che è l’espressione massima e più intensa della fiducia nel genere umano.

La raffinatezza del disegno, della composizione, della scelta e dell’uso dei colori esprime, poi, la cortesia del duello intellettuale. Il pittore grida le sue idee a voce altissima, ma quanto in altri sarebbe scortesia assoluta e vociare scomposto, in Venanti diviene l’aspetto visivo di un grande crescendo d’orchestra, quel pieno eroico con il quale i più grandi musicisti di ogni tempo hanno espresso i momenti salienti della storia dell’umanità e la propria partecipazione agli eventi.
In un certo senso, è come il grido muto di un grande signore che riesce a sovra- stare la folla vociante con la sua sola presenza, senza profferir parola.
E proprio come il grande signore si riconosce e si impone per il portamento elegante, per la scelta dell’abito, per il gestire, così di fronte ad una tela di Venanti il vociare si tace e sola la voce dell’artista riempie lo spazio. L’eleganza della semplicità, il suo potere misterioso, sono l’essenza dei bianchi e neri. Splendidi. Assoluti. Taglio perfetto di un abito da cerimonia di stoffa pregiata.

In genere, il portamento di un nobile signore non è privo di una certa dose di ironia. E l’ironia è una delle forme attraverso le quali l’intelligenza si manifesta. Ed è anche una delle forme di intelligenza non solo più difficili a praticarsi, ma anche meno facili a riconoscersi. Perché per riconoscere e condividere l’ironia occorre avere quel senso, dell’ironia appunto, che è frutto di educazione e di cultura. E di senso del limite, a sua volta seme della educazione. E non mi pare si possa sostenere che l’educazione sia tra le virtù più praticate, oggigiorno. Per chi le ricorda, le storiche “caricature” alle quali Franco Venanti dedicava in gioventù più di un momento non avevano niente da invidiare all’espressione degli umoristi più celebrati. Eccezionali, sempre rispettose della dignità del soggetto, ma anche puntuali, pungenti, e, perché no?, affettuose. Tecnicamente, anche perfette. Il segno di Venanti è sempre stato preciso, sicuro, incisivo, rapido. Non so se quello della caricatura sia ancora oggi un interesse specifico di Franco: so soltanto che a me pare di scorgere in quasi tutte le sue opere una sottile, spesso inavvertibile vena di umorismo. è come se egli volesse non dimenticare la vena comica che percorre questo nostro mondo, a partire dalla tendenza degli uomini a prendersi troppo e drammaticamente sul serio. La “certezza d’artista” è una costante dei grandi così come lo è dei meno grandi: colpisce tutti, quale che sia la vocazione. Con una differenza di non piccolo momento: nel grande artista, la certezza è una conquista spesso sofferta, sempre consapevole e ideologi- camente e logicamente giustificata. Per gli altri… si tratta di infondate pretese di una logica in genere serva quanto loquace ed opportunista. Franco Venanti ha la sua propria certezza d’artista, alla quale sembra giunto attraverso le scoscese e pericolose vie di una continua verifica di quanto l’istinto gli suggeriva e tuttora gli suggerisce. Una verifica, attenzione, non una elaborazione. Una verifica costruttiva, certamente, ma che non ha modificato alle radici uno spirito sostanzialmente anarchico ed una consapevolezza assoluta: il mondo è quello che è, lotta e fatica, ma nei suoi aspetti deteriori e portatori di danno alla società così come all’individuo può e deve essere cambiato. E lo strumento di cui l’artista dispone può apparire e forse è inadeguato. E certamente una tela, un pennello, un colore – più tele, più pennelli, infiniti colori – sono forse impotenti. Il convincimento cercato attraverso il puro e semplice colloquiare non sembra aver mai dato risultati apprezzabili. Non nei tempi brevi, comunque. Meglio sarebbe un’arma, e meglio un po’ più di autorità e, soprattutto, una dose maggiore di responsabilità. Vuol dire anche che colui che sbaglia deve sapere che pagherà e conoscere il prezzo che la società gli richiede. La certezza dell’artista Franco Venanti è forse proprio questa: il mondo può essere migliore, ma il colloquio da solo è debole. Troppo spesso. Anche perché per colloquiare, per scambiare opinioni, idee, informazioni occorre essere almeno in due, e bisogna che entrambi siano disposti e disponibili. Va espletato, il colloquio, fino in fondo, ma tutti devono sapere che la costrizione non è una invenzione diabolica. è praticabile, e deve esserlo quando necessario. Senza per questo illudersi più che tanto: anche la costrizione dà risultati discutibili, in genere anche instabili e di breve durata, se ad essa non segue il convincimento delle cose e delle azioni. Significa, anche, che non si tratta solo di una metodologia: autorità e convincimento devono andare di pari passo, e questo deve condurre all’altra, così come più spesso di quanto non si creda è la costrizione iniziale a portare al convincimento. È palese in tutto il lavoro del pittore, ed è ripetuto nei suoi scritti e nei suoi interventi a convegni e tavole rotonde. Ogni mezzo egli utilizza per far conoscere un messaggio che ha le pretese della universalità raggiunta attraverso la costruzione del contingente.
E qui forse si sostanzia un’altra caratteristica fondamentale dell’opera di Venanti: la ricerca di un colloquio costruttivo con l’osservatore. Le sue tele non sono mai esclusivamente descrittive, così come le sue descrizioni non sono mere figurazioni. è un po’ come l’esposizione dell’enunciato di un tema accompagnata da una scaletta, dalla proposta di uno svolgimento e dalla traccia di una soluzione. “Io vorrei affrontare questo argomento, e, per quanto mi riguarda, la vedo così. Ma già soltanto perché l’argomento compaia in tutta la sua evidenza mi occorre la tua partecipazione. Attento, però: dobbiamo giungere assieme ad una conclusione, ed io la propongo in queste forme, in questa composizione, tra questi colori, tra i quali è il filo logi- co che tu, con la tua anima e la tua mente, devi scoprire e seguire fino in fondo”.

Margherita, nuda, mi guarda dal piccolo spazio sulla parete, defilata, scontrosa e aperta, misteriosa e solare. Spontanea fin quasi alla volgarità, anarchica e scomposta. Margherita è amica, anima e voce del pittore. Il suo sguardo mi giunge invisibile, nascosto da un giornale che quasi tutta la copre. Invito è a pensare. Il mistero si cela dietro il racconto d’un ieri già morto. Abito di fatti ormai spenti per la figura appena accennata eppure scolpita. Netta e sfumata. Segni neri e spazi colmi di colore. Non ha un volto, Margherita. E non ha occhi. E il suo volto e i suoi occhi sono dentro di me. Come il suo corpo. Forme senza sesso. Inquietante richiamo. Essenza di pensiero. Libertà.

 

Estratto da
60 ANNI IN MOSTRA 1
Franco Venanti & 46 maestri dell’arte contemporanea umbro-toscani
A cura di: Eugenio Giannì